Dopo sei anni non c’è risposta ufficiale sulle cause dell’esplosione in volo di un DC-9

Ustica, per le 81 vittime dimenticate ora si chiede l’intervento di Cossiga

ROMA — Sei anni fa, il 27 giugno, l’esplosione del DC-9 Itavia nel cielo di Ustica. Ottantuno le vittime, tra passeggeri ed equipaggio. Una storia ancora tutta da raccontare, una inchiesta mai conclusa, tra mezze ammissioni, segreti, nastri spariti, tracce radar non identificate e un solo, forte sospetto: quel bireattore fu abbattuto da un missile aria-aria, lanciato da un caccia in missione?
Il sospetto è qualcosa di più di una semplice, logica analisi dei fatti. La commissione ministeriale d’indagine ha chiesto al ministro dei Trasporti di considerare concluso il proprio lavoro. Esplosione ci fu; ma stabilire se dall’interno (una bomba) o dall’esterno (un missile, appunto) non è stato possibile. Tuttavia le tracce di T4 (con cui si confezionano potenti ordigni ma anche le testate dei missili aria-aria) sono presenti sui reperti dell’aereo. E un esame effettuato sulla velocità di penetrazione delle particelle nei tessuti ha consentito di provare che una bomba non avrebbe mai potuto imprimere quella spaventosa accelerazione. Infine, la traccia sul radar di un oggetto volante non identificato nella classica manovra di attacco.
Dal ministero della Difesa, in sei anni, sono stati diffusi pochi comunicati. E tutti per puntualizzare che comunque velivoli militari italiani e Nato non erano sul cielo di Ustica a quell’ora e in quel giorno. Precisazioni che vogliono dire tutto e niente. Come vengono considerati gli aerei delle portaerei francesi, ad esempio? All’interno o estranei al sistema integrato dell’Alleanza Atlantica? E poi il nastro della Difesa aerea territoriale che, guarda caso, manca di otto decisivi minuti di registrazione proprio a cavallo dell’istante dell’incidente. «C’era una esercitazione in corso», si giustificarono i responsabili del centro di Marsala (era sera, due minuti prima delle 21).
Alcuni mesi fa il giudice istruttore Bucarelli, della Procura romana, fece riesumare due salme per nuovi accertamenti medico legali. Successivamente, venne confermata la volontà dell’autorità giudiziaria di tentare il recupero in mare della carcassa del DC-9. Costo dell’operazione: oltre dieci miliardi. Quindi, nuovo silenzio. Gli unici a rifiutare la consegna del «no comment» sono i familiari delle vittime. Hanno scritto a Pertini e adesso vogliono scrivere a Cossiga. Chiedono giustizia e una spiegazione.
Le interrogazioni parlamentari sul giallo di Ustica occupano ormai parecchi fascicoli, accanto ad altrettanti fascicoli pieni di vaghe risposte dei rappresentanti di tutti i governi che si sono dati il cambio dal 27 giugno 1980 ad oggi. Giannina Giau Bonfietti, parente di una vittima, ha addirittura scritto a Craxi, attraverso il proprio legale Romeo Ferrucci, per conoscere «la nazionalità del missile che ha provocato il disastro aereo».
In queste ore, il capo dello Stato ha comunque tra le mani un appello, promosso da Francesco Bonifacio. Franco Ferrarotti, Antonio Giolitti, Pietro Ingrao, Adriano Ossicini, Pietro Scoppola, Stefano Rodotà, nel quale viene direttamente chiamato in causa il governo. «Qualsiasi dubbio — dice l’appello a Cossiga — sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vile umane e di interessi pubblici primari deve essere affrontato e rimosso nella sola sede pubblica competente, che è precisamente le sede governativa, cioè quella in cui si concentrano, per dettato costituzionale, le competenze e le responsabilità istituzionali che vengono chiamate in causa in casi del genere». Andrea Purgatori

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