Dopo l’invito del capo dello Stato a Craxi perché sia accelerata l’inchiesta, ricostruiamo (con informazioni inedite) il giallo del disastro aereo

Ustica: ottantuno morti e otto misteri

Le indagini sull’esplosione del «DC-9» Itavia nel 1980 si arenarono quasi subito, fra silenzi e segreti militari – L’ipotesi più attendibile: collisione con un missile lanciato da un caccia «pirata» – Le inquietanti conferme di un consulente del Pentagono – L’enigma del velivolo libico precipitato sulla Sila e scoperto 20 giorni dopo la tragedia

ROMA — Pochi giorni fa il capo dello Stato ha scritto al presidente del Consiglio perché contribuisca con ogni mezzo ad accelerare il corso dell’inchiesta sull’esplosione del DC-9 Itavia nel cielo di Ustica (27 giugno 1980: ottantuno morti). Sono state dette molte cose su questo disastro aereo. Alcune, in gran parte Inedite, le raccontiamo oggi. Otto misteri e forse altrettante chiavi di interpretazione.
I SERVIZI – La prima informativa (ma ce ne sono state altre?) arrivò nelle mani del magistrato alla fine dell’estate del 1980. Giorgio Santacroce, sostituto procuratore della Repubblica di Roma, l’aveva espressamente richiesta. Ma rimase piuttosto deluso. Quelle trenta righe dattiloscritte non lo avrebbero aiutato a far procedere l’inchiesta di un palmo. Secondo i nostri agenti segreti, non esisteva un solo elemento che potesse dare un reciso taglio alle indagini. Quanto alle voci sul missile e sul caccia pirata che avrebbe abbattuto il DC-9, venivano scartate con una sfumatura di altero distacco. Buttate giù in modo svogliato, burocratico e generico, le informazioni dei nostri servizi chiudevano comunque una porta. E consentivano al controspionaggio militare di non esporsi ad ulteriori imbarazzanti quesiti.
I NASTRI — La Difesa Aerea Territoriale (DAT), che garantisce la sicurezza militare dei nostri cieli, venne interpellata due volte dal magistrato e due volte schivò l’invito a collaborare. Difetto di forma nella richiesta, si giustificarono alla base di Licola (Marsala). Santacroce decise di insistere: attraverso il ministero della Difesa arrivò finalmente all’interrogatorio degli operatori del centro radar che doveva aver seguito il volo e l’esplosione del DC-9. Invece, sorpresa. Al pretore che per conto di Santacroce rivolse le domande, i militari, (ufficiali e sottufficiali dell’aeronautica, naturalmente) risposero allargando le braccia: non era disponibile alcuna registrazione perché proprio in quel momento era in corso una esercitazione e otto minuti di nastro erano stati cancellati. Cioè, gli otto minuti che racchiudevano la ricostruzione del disastro.
L’ALLARME — Fu una notte caotica quella del 27 giugno 1980. Linee telefoniche intasate al Centro di controllo di Roma-Ciampino, soprattutto per far partire in gran fretta i mezzi del SAR (Search And Rescue, il soccorso dell’aeronautica militare). Quando l’operatore chiamò il 15° stormo non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto che qualcosa di singolare era forse accaduto. Perché si senti rispondere che gli elicotteri erano già in partenza, messi in preallarme direttamente da un’altra base che aveva a sua volta ricevuto la segnalazione dalla DAT. Solo che la DAT di Licola era in esercitazione (versione ufficiale). Dunque, come avrebbe potuto rendersi conto in anticipo su Ciampino di quanto era veramente accaduto?
LA SESTA FLOTTA — Non è un mistero che la Sesta Flotta abbia una propria copertura radar. Non è un mistero che anche il cielo di Ustica venga passato al setaccio dalle antenne della US Navy. Dunque, l’esplosione del DC-9 Itavia non fu un mistero per la Sesta Flotta. Ma questa equazione vale solo una premessa. Per meglio comprendere il senso delle affermazioni di John Transue. Chi è il signor Transue? Un consulente di guerra aerea del Pentagono, intervistato dalla «BBC» e dal «Corriere della Sera» nel 1983. Ebbene, John Transue, dopo aver esaminato il tracciato radar civile della Selenia, elaborato dal National Transportation Safety Board (l’ente per la sicurezza aerea civile degli Stati Uniti, dove si era recato Santacroce insieme al membri della commissione d’inchiesta tecnico-formale sull’incidente di Ustica) dichiarò quanto segue: l’oggetto volante individuato accanto al DC-9 prima e dopo l’esplosione aveva tutte le caratteristiche di un caccia; la sua angolazione e la velocità rispetto al DC-9 ne mostravano l’accelerazione in una «classica manovra d’attacco»; la distanza minima tra il caccia e il DC-9 era quella ottimale per lanciare un missile.
Sarebbe stato sufficiente questo, vista la fonte e la gravità delle affermazioni, per provocare almeno una precisazione ufficiale da parte italiana. Invece, come sempre in questa vicenda, niente. Ma Transue aggiunse dell’altro. Disse, infatti, che molto probabilmente la Sesta Flotta aveva visto tutto con i propri radar. Solo che nessuno si era mai preoccupato di richiedere quei nastri.
Ed era ormai troppo tardi per farlo: vengono cancellati dopo alcune settimane.
LA NATO — Dal giorno successivo all’incidente, il nostro ministero della Difesa cominciò a diffondere un comunicato di poche righe che in sei anni ha continuamente confermato: non c’erano aerei italiani o NATO in volo nel punto dell’incidente; non c’erano esercitazioni in corso. Si sono chiesti in molti se gli aerei francesi debbano essere compresi nella precisazione della Difesa oppure no. Ad esempio, i Super Etendard della portaerei «Clemenceau». Ma anche su questo punto silenzio.
LA DOUGLAS — Nel giro di quarantott’ore i tecnici della McDonnell Douglas sbarcarono in Italia per stabilire le cause dell’incidente. Questioni di sopravvivenza, per la casa costruttrice di Long Beach. C’erano di mezzo colossali commesse per il nuovissimo DC-9 Super 80, migliaia di miliardi e il rischio di chiudere in caso di provato cedimento delle strutture del bireattore dell’Itavla. Dopo qualche settimana gli esperti della Douglas tornarono a casa tranquilli. Molto più tranquilli della magistratura che ancora, dopo sei anni, arranca dietro al mistero di Ustica. Ufficialmente, l’industria americana costruttrice dell’aereo esploso negò solo che la causa dell’incidente fosse da attribuire a problemi tecnico-strutturali. Ufficiosamente, non c’è un solo «uomo Douglas» che non racconti la storia del missile,
IL MIG — Venti giorni dopo l’esplosione del DC-9, alcuni pastori trovarono la carcassa di un Mig 21 sui monti della Sila. Sul casco del pilota, un nome: Ezzedin Koal. Sulla fusoliera, le insegne dell’aviazione da guerra di Gheddafi. Passato senza problemi attraverso le maglie della DAT, il Mig si era schiantato su un costone di roccia calabrese. Già, ma quando era precipitato? L’autopsia rivelò incredibili contraddizioni. Lo stato di decomposizione del corpo del pilota datava l’incidente di almeno venti giorni. Dunque, il Mig 21 poteva anche essere stato in volo la notte dell’esplosione del DC-9. Niente affatto, concluse l’inchiesta, rapidissima. I rottami del caccia vennero impacchettati e restituiti al libici. La versione ufficiale parlò di tentata fuga del pilota, poi precipitato senza carburante. Recentemente il giudice Imposimato ha riaperto un fascicolo intestato al mistero del Mig 21. Quale collegamento con Ustica.
I PILOTI — L’esplosione del DC-9 e le successive mancate collisioni lungo l’aerovia Ambra 13 Alfa (Ponza/Ustica/Palermo) preoccuparono a tal punto i piloti che l’Ifalpa, la Federazione mondiale di categoria, offri al colleghi italiani il totale boicottaggio di quella parte di cielo. Almeno fino a quando non fosse stata stabilita la causa dell’incidente di Ustica e ripristinate le condizioni di sicurezza per il volo civile di linea. Un contatto riservato tra Ifalpa e Anpac non portò comunque a nessuna decisione operativa. Ma anche il sindacato dei piloti italiani ha in sede un carteggio sostanzioso sui misteri dell’Ambra 13 Alfa, sull’esplosione del DC-9 Itavia e le mancate collisioni nel cielo di Ustica.

L’articolo originale

Guarda la versione orinale uscita sul Corriere della Sera (clicca l’immagine).

Ascolta l’articolo

Ascolta il testo integrale