A sei anni dalla tragedia in cui morirono 81 persone il magistrato fa recuperare a spese del ministero il relitto in fondo al mare

L’aereo che esplose sopra Ustica: dieci miliardi per la verità

ROMA – Dieci miliardi per individuare e recuperare ciò che resta in fondo al mare del DC-9 Itavia disintegrato da un’esplosione nel cielo di Ustica la sera del 27 giugno 1980. Li sborserà il ministero di Grazia e Giustizia, ma non c’è alternativa. Sei anni di indagini per stabilire le cause di questo inquietante mistero dell’aviazione civile, e soprattutto per accertare le responsabilità della morte di 81 persone, pongono la magistratura di fronte a una scelta obbligata. L’ultima possibile in una inchiesta consumata tra difficoltà tecniche e politiche, tra polemiche e la certezza che quell’aereo fu il folle obiettivo del terrorismo (una bomba) o di un missile aria-aria ancora senza bandiera.
Per la verità, all’ipotesi di un pacco esplosivo a base di T-4, confezionato appositamente per il volo Bologna-Palermo sono in pochi a credere. Tra gli scettici ecco in prima fila proprio gli investigatori. Perché? È sufficiente ricordare una perizia elaborata dalla commissione ministeriale sulla base delle esperienze acquisite in Gran Bretagna dagli specialisti di Sua Maestà. Quella sulla velocità di penetrazione delle particelle nei tessuti dei cuscini recuperati in mare. Bene, l’analisi dimostrò che la forza d’impatto era nell’ordine di alcune migliaia di metri al secondo, superiore a quella provocata da una bomba, anche sofisticata. Sul tracciato radar, infine, la scia di un altro «oggetto volante non identificato» (espressione del National Transportation Safety Board, dopo l’analisi dei dati) che attraversò la rotta del DC-9 proprio nel momento dell’incidente. Dunque, una caccia? Un aereo militare pirata (e fantasma) che scelse il bireattore come obiettivo di una esercitazione o di un attacco deliberato? Il giudice istruttore ha preso in considerazione seriamente questa possibilità. E con un DC-9 della nostra Aeronautica si è alzato in volo per ricostruire un identico scenario. Uno o due caccia italiani hanno collaborato all’esperimento.
Non resta che mettere le mani sul relitto del DC-9. E il giudice istruttore Bucarelli potrà cosi terminare il suo lavoro. La commissione tecnica ha infatti già messo al corrente il ministro del Trasporti di ritenere conclusa la propria indagine.
Il recupero della carcassa del DC-9 (quasi certamente spaccato in tre grandi tronconi) si trova in una fossa a 3.500 metri di profondità. Ci sono pochissime compagnie private in grado di individuare il relitto, di fotografarlo con apparecchi ad alta definizione d’immagine e quindi di andare a ispezionarlo con mini sommergibili telecomandati.
L’ultima parte dell’operazione potrebbe richiedere anche l’uso di un batiscafo.
Il ministero dei Trasporti, che inizialmente propose il recupero, non ha più risposto alle lettere del magistrato. Ormai non resta al ministero di Grazia e Giustizia che procedere autonomamente. Dieci miliardi, dunque. E sapremo la verità sul «giallo» di Ustica.

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