Il caso del DC-9 Itavia rischia di restare insoluto dopo il deposito delle perizie che confermano il clamoroso dissidio nel pool di tecnici

Ustica, in volo verso l’archiviazione

La spaccatura fra i periti impedirà il rinvio a giudizio dei responsabili della sciagura

Due dei sei specialisti nominati dal giudice Bucarelli nelle loro conclusioni parlano di bomba a bordo – Gli altri quattro attribuiscono la causa dell’abbattimento del jet a un missile – Questa divergenza di vedute potrebbe rendere impossibile, secondo il nuovo codice di procedura penale, il processo agli imputati

ROMA — Alla vigilia del decimo anniversario della strage di Ustica, l’inchiesta viaggia verso l’archiviazione e il proscioglimento dei 25 militari dell’Aeronautica, incriminati nel giugno scorso. Questo è il risultato provocato dalla spaccatura tra i periti, che sabato hanno consegnato al magistrato una relazione in cui vengono proposte due possibili soluzioni al grande mistero sull’esplosione del DC-9 Itavia: un missile o una bomba. Secondo l’articolo 256 del nuovo codice di procedura penale, solo una perizia univoca avrebbe infatti consentito il rinvio a giudizio e la condanna degli imputati. Bucarelli ha poi annunciato che intende rispettare la scadenza del 24 ottobre come termine per la chiusura dell’istruttoria.
La storia di questa perizia contrastante nelle conclusioni non mancherà di provocare polemiche e sospetti. L’avvocato Franco di Maria, uno dei legali di parte civile, ha dichiarato: «Devo rilevare che 4 periti su 6 (il sesto è il professor Romano, l’anatomo-patologo che un anno fa partecipò alla stesura della prima perizia in cui la causa della strage fu individuata in un missile, n.d.r) sono concordi nell’affermare che si tratta di un missile. Sotto il profilo tecnico non cambia nulla. Ma da un punto di vista emotivo si, perché c’è sempre una dissociazione rispetto a una verità che sembrava condivisa all’unanimità».
La relazione è divisa in tre parti. Nella prima, vengono elencati i quesiti posti dal giudice e le considerazioni di ordine generale. Nella seconda, vengono presi in considerazione: a) i tracciati del radar di Marsala; b) i tracciati del radar di Ciampino; c) la qualità e composizione delle teste di guerra dei missili aria/aria; d) le perizie foniche, i nuovi esperimenti e tutto il materiale acquisito successivamente alla perizia depositata nel marzo 1989. Nella terza parte, le conclusioni. Che per ogni quesito propongono una doppia soluzione. Quella con le due firme del professor Blasi e dell’ingegner Cerra. E quella con le tre firme dell’ingegner Imbimbo e dei professori Lecce e Migliaccio. La bomba e il missile, insomma.
L’impalcatura con cui si sostiene la tesi della bomba è costituita da una nuova interpretazione del tracciato radar di Ciampino, dove gli esperti americani del National Transportation Safety Board (l’ente federale per la sicurezza del volo) avevano individuato un caccia impegnato in una manovra d’intercettazione e attacco nei confronti del DC-9. Questa nuova analisi è stata preparata dagli ingegneri Pardini e Giaccari della Selenia e dal professor Galati, oggi docente a Tor Vergata e solo pochi anni fa anch’egli dipendente della Selenia. I tre, di cui era stato inizialmente richiesto l’ingresso nel collegio dei periti, hanno poi lavorato come consulenti.
Ma le conclusioni cui sono giunti sono state considerate tanto precise da spingere Blasi e Cerra a riproporle identiche al giudice Bucarelli. In realtà, sembra che contenessero anche errori grossolani corretti poi a penna e in tutta fretta nella mattinata di sabato, poche ore prima della consegna della relazione. Secondo Pardini e i suoi due colleghi, le tre tracce attribuite dagli americani a un caccia sarebbero, in realtà: una, quella di un frammento del DC-9 Itavia dopo l’esplosione e, le altre, due falsi echi prodotti dal radar, con bassissima probabilità di essere associati alla traccia di un aereo in volo accanto al DC-9.
Per arrivare dalla contestazione del tracciato alla bomba, Blasi e Cerra (anche lui ingegnere della Selenia) hanno poi seguito un percorso semplice, in base al quale, se si fa scomparire il caccia scompare anche il missile; dunque, non resta che immaginare l’esplosione di un ordigno a bordo. Tuttavia, le cose non sono cosi semplici come forse gli uomini della Selenia pretenderebbero. Infatti, a sostenere la tesi della bomba non c’è un solo elemento. Non solo, la casa costruttrice del DC-9, dopo qualche resistenza, ha fatto pervenire ai periti uno studio sulla curva di caduta dei rottami, in cui si dimostra come l’interpretazione di Pardini e dei suoi colleghi non stia in piedi.
I tre periti (Imbimbo, Lecce, Migliaccio), che non hanno compiuto la clamorosa inversione di marcia di Blasi e Cerra, hanno individuato in un missile a medio raggio il responsabile della strage. Esclusi quelli italiani (su questo punto, la collaborazione della nostra Aeronautica con i periti si è risolta nel copiare e trasmettere il Jane’s degli armamenti alla voce «missili aria/aria»), sembra comunque certa per la testa di guerra una tipologia di fabbricazione occidentale. È stato inoltre accertato che il sistema radar di Marsala «vide» almeno una volta la traccia del DC-9 Itavia in caduta e che sussistono ampi dubbi su quanto avvenne nella sala del centro di controllo della Difesa aerea.
Irrisolto il mistero dell’aereo indicato con il «codice 56» e della traccia numero 6, annullata dal sistema del radar di Marsala quasi in contemporanea con quella del DC-9 che esplode. Altra conferma alla tesi del missile è venuta dalla perizia fonica compiuta qualche tempo fa a Fiumicino con una carica esplosiva e un altro DC-9. Adesso non resta che attendere le mosse dei magistrati, che sembrano intenzionati a convocare i periti per avere spiegazioni sulla spaccatura.

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