Ieri animata testimonianza in commissione stragi dell’ex vicepresidente del consiglio, i nuovi misteri della strage

«Ustica, due generali mentirono»

Amato contro Pisano e Tascio: sulla manipolazione dei tracciati radar non dissero la verità

Il giallo delle foto – Attacco al giudice Bucarelli: sostenne che c’erano due immagini della carcassa del DC-9 scattate dagli americani sui fondali – Il magistrato smentisce – La replica del parlamentare: non dico bugie – Qualcuno aveva interesse a ispezionare i resti dell’aereo?

ROMA — Anche Giuliano Amato, attuale vicesegretario del Partito socialista e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Craxi, è stato ascoltato ieri dalla Commissione d’inchiesta sulle stragi. Una deposizione che ha aggiunto due nuovi elementi di indagine nella oscura vicenda del DC-9 Itavia esploso dieci anni fa nel cielo di Ustica. Primo. Amato ha rivelato che nel 1986 il giudice istruttore Vittorio Bucarelli gli disse di avere alcune foto del relitto, scattate dagli americani in fondo al Tirreno. Secondo. Amato ha spiegato che, alla luce dei dati acquisiti negli ultimi quattro anni di indagini, i generali Pisano e Tascio gli fornirono false informazioni sulla possibilità di manipolare i nastri delle registrazioni radar.
La questione delle fotografie del relitto dell’aereo, ma più in generale tutta la storia del recupero, è uno dei grandi misteri della strage. Qualcuno aveva interesse ad ispezionare la carcassa del DC-9? E durante questa ipotetica ispezione fu forse fatto sparire qualcosa che avrebbe consentito di svelare il «giallo»? Il flight data recorder (la scatola nera), parti anteriori della fusoliera perforata dalle schegge del missile, parti del missile, cioè tutto quel materiale che la Ifremer non ha trovato o non ha riportato in superficie? Ad una precisa domanda del demoproletario Cipriani, l’ex sottosegretario ha risposto: «Bucarelli mi parlò di foto che lui aveva e che erano state scattate dagli americani».
Informato di questa dichiarazione, il giudice Vittorio Bucarelli ha risposto: «Smentisco la notizia. Le uniche fotografie di cui sono in possesso sono quelle fatte dalla compagnia di recuperi francese Ifremer, preliminarmente alla campagna di lavoro che ha consentito di riportare in superficie i resti del DC-9 dell’Itavia. Filmati delle riprese subacquee e foto fatte dalla Ifremer sono l’unico materiale che esiste agli atti, insieme con la perizia tecnica». Nuova dichiarazione di Giuliano Amato all’uscita da San Macuto: «Non ho l’abitudine di dire bugie. Io ricordo questo: che Bucarelli aveva già delle foto e che erano state scattate dagli americani».
Per tentare di capire come stanno le cose, occorre prima di tutto collocare temporalmente la questione. Dunque, siamo nel 1986. Il presidente della Repubblica (Cossiga) ha chiesto al presidente del Consiglio (Craxi) di rimettere in movimento la macchina per l’accertamento della verità. Vengono prese due decisioni: vuotare i cassetti e raccogliere la documentazione esistente (quella non sparita); effettuare il recupero del relitto. La prima idea è di presentare un disegno di legge per lo stanziamento dei fondi necessari all’operazione (tra 7 e 10 miliardi). Ma poi prevale un’altra linea: prelevare i soldi dal bilancio del ministero di Grazia e Giustizia, per esigenze di indagine. E questo avviene.
C’è una data chiave, il 30 settembre 1986. È il giorno in cui Amato va a Montecitorio per rispondere alle interrogazioni e fare il punto della situazione. Ed è forse l’unica volta che un governo affronta di petto la strage di Ustica, persino con un coraggioso sbilanciamento a favore della tesi del missile. Prima di presentarsi al dibattito Amato «studia» il caso. E lo fa con i protagonisti dell’inchiesta: giudice istruttore (Bucarelli), stato maggiore dell’Aeronautica (i generali Franco Pisano e Zeno Tascio), capo del controspionaggio (ammiraglio Fulvio Martini), ministri ed ex ministri (Formica, Signorile). Ecco, il mistero delle foto si consuma in quelle ore.
Circolarono o no, le immagini del relitto? La chiave di soluzione va cercata forse nella settimana successiva alla strage, cioè tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 1980. È in quei giorni che la McDonnell Douglas (costruttrice del DC-9) manda i suoi specialisti in Italia. Con una consegna precisa: scoprire se l’aereo è andato distrutto per un cedimento strutturale. Bene, la Douglas chiude l’inchiesta con una certezza assoluta: il DC-9 non ha avuto alcun cedimento strutturale ma è esploso in volo. Ufficialmente, gli uomini della Douglas spiegano che non spetta a loro stabilire il come (bomba o missile). Ma ufficiosamente danno una sola versione: missile aria/aria.
Sempre ufficiosamente, aggiungono che le loro certezze si basano su informazioni d’intelligence (leggi servizi segreti americani). Spiegazione corretta. Infatti, senza il relitto a disposizione e in una sola settimana di lavoro, chi avrebbe mai potuto trovare la soluzione? Risposta: la US Navy aveva i mezzi e forse scattò veramente le foto apparse e scomparse nel 1986. Ma l’operazione non si sarebbe giustificata solo come un «regalo» alla Douglas. Dunque, l’interesse era un altro. Forse lo stesso che spinse anche l’I-fremer a ispezionare il relitto prima ancora dell’autorizzazione ufficiale al recupero.

L’articolo originale

Guarda la versione orinale uscita sul Corriere della Sera (clicca l’immagine).

Ascolta l’articolo

Ascolta il testo integrale