Al giudice che indaga sulla tragedia del DC-9 il presidente del Consiglio risponde: nessun segreto militare o di Stato

Ustica, chi sa ora può parlare

Quanti si erano appellati al vincolo della riservatezza, come coloro che avevano mostrato disponibilità saranno interrogati dal magistrato – Rimane però la barriera dello Stato Maggiore: quella notte il cielo era assolutamente deserto – Il ministro Zanone: «Non rimane che attendere l’esito della perizia sul relitto»

ROMA — Al giudice Istruttore che indaga sul disastro di Ustica, il presidente del Consiglio risponde che non ci sono informazioni coperte da segreto militare o di Stato. Al ministro della Difesa, i generali propongono un polveroso dossier che contiene notizie di otto anni fa.
«Adesso non rimane che attendere l’esito della perizia sul relitto dell’aereo», dice Valerlo Zanone. Perché secondo il nostro Stato Maggiore al momento dell’esplosione del DC-9 nessun caccia, nessuna nave, nessun missile incrociava da quelle parti. Che il magistrato provi il contrario».
La battaglia per la verità può procedere nelle aule della Procura di Roma. Dove il giudice Vittorio Bucarelli si è visto recapitare ieri mattina una busta bianca con venti cartelle dattiloscritte e una lettera di accompagnamento. Questo è il fascicolo con la documentazione spedita da Palazzo Chigi. Altre carte arriveranno nel prossimi giorni: date, nomi e cognomi di ufficiali, sottufficiali e avieri in servizio in alcune basi italiane nella notte del 27 giugno 1980. Si tratta di informazioni che «non sono coperte né saranno coperte da segreto militare o di Stato».
É una precisazione importante. Non solo per i documenti, visto che rappresentano fotocopie in circolazione da tempo. Lo sarebbe invece per quel militari che spontaneamente si sono presentati alla magistratura dichiarando una disponibilità a parlare e per i testi che invece proprio al vincolo del segreto hanno fatto appello per non collaborare alle indagini. Dunque, semaforo verde in Procura: il giudice può procedere negli interrogatori con la formale copertura della presidenza del Consiglio.
Il colpo di freno agli entusiasmi per una rapida soluzione del grande mistero di Ustica arriva dal dossier del generali. Il dossier che Zanone ha ieri asetticamente illustrato in chiusura di Consiglio del ministri e mentre la copia veniva recapitata al giudice. Vediamo:
RADAR DI MARSALA — La registrazione radar «è nelle mani del magistrato» e comprende il momento della sciagura «sino ai quattro minuti successivi» (notizia del 1982).
MIG LIBICO — Indagò l’Aeronautica militare che «ritenne di datare l’incidente al 18 luglio, ossia circa venti giorni dopo il disastro». Dopo l’autopsia uno del periti «ha avanzato riserve circa la possibile data di morte del pilota» (notizia del 1980 e 1986).
ITALIA E NATO — Il capo di stato maggiore dell’Aeronautica ha ripetuto che «nella zona e nell’ora dell’incidente non era in corso alcuna esercitazione aerea nazionale o della Nato e nessun velivolo dell’Aeronautica militare italiana si trovava In volo» (notizia del 1980).
AMERICANI E FRANCESI — Il comando americano «ha dichiarato che nelle stesse circostanze non operavano nel Tirreno navi o velivoli della Sesta Flotta». L’ambasciata francese «ha dichiarato che le due portaerei francesi si trovavano nell’ora dell’incidente nella rada di Tolone» (notizie del 1980 e 1986).
POLIGONI E RADIOBERSAGLI — Nessuna attività sperimentale interforze nel poligono di Salto di Quirra.
Ultimo lancio di un radiobersaglio effettuato nel 1980 «cinque mesi prima del disastro di Ustica» (notizie del 1982).
SISMI — «L’analisi Informativa svolta dal Sismi, anche attivando gli opportuni contatti internazionali, non ha fornito alcun elemento che contraddica le circostanze di cui alle dichiarazioni sopra riportate».
«Molte le congetture ma pochi i dati», si affretta a dire Zanone. Che in otto anni è il primo ministro della Difesa a riordinare organicamente le carte, anche se vecchie. E davanti alle contestazioni spiega i limiti della sua indagine, che «non è certo quella di un giudice». In attesa della perizia che dirà se fu un missile ad uccidere 81 persone a bordo di un aereo civile nei cieli italiani. «Quello sarà il momento della verità», aggiunge. E lascia intendere che sotto al documenti inviati in Procura c’è la firma del generali che se ne assumono la responsabilità.
Tutti i dubbi sono senza risposta. Il dossier della Difesa racconta soltanto che quella del 27 giugno 1980 fu una notte serena, senza caccia che inseguivano Mig libici, senza navi italiane o straniere, con i radar in funzione, i poligoni a riposo e i radiobersagli negli hangar. Ma fu anche una notte di pasticci, di ordini di servizio smarriti, di tracce impiegabili rilevate dall’unico radar che ufficialmente controllava il DC-9 Itavia. Quello di Ciampino. Sarà la magistratura a rispondere ai silenzi, alle carenze di informazioni.
E sulla magistratura si allunga vigile l’attenzione del capo dello Stato. Che giovedì mattina ha ricevuto al Quirinale i familiari delle vittime, i legali di parte civile, i membri del Comitato per la verità (ne è presidente Paolo Bonifacio). Un Incontro lungo e costruttivo. Durante il quale Francesco Cossiga ha manifestato stupore, per le contraddizioni rilevate dal giudici sulla sparizione dell’ordine di servizio originale del centro radar di Marsala («Se le cose stanno cosi si tratta di un reato e va perseguito secondo la legge», ha detto il Capo dello Stato al legali Ferrucci e Galasso). Cossiga si è Impegnato a intervenire sul plano diplomatico, dove sarà necessario. Ed ha ascoltato la richiesta per un appello che proprio dal Quirinale inviti chiunque sa a parlare, perché la verità su questa strage non rimanga sepolta nel cassetti.

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