A quattro anni dalla tragedia un passo avanti nella soluzione del mistero ma la verità è ancora lontana

Tracce di tritolo sul DC-9 di Ustica

I risultati delle perizie per la morte di 81 persone

Esclusa definitivamente l’ipotesi del cedimento strutturale – Rimane aperto l’inquietante interrogativo: ordigno o missile aria-aria? – Un dato certo che risulta dai tabulati radar è la presenza di un altro aereo in zona – La pista del caccia pirata

ROMA – Ci sono tracce evidenti di esplosivo sul reperti del DC-9 Itavia, disintegrato nel cielo di Ustica la sera di venerdì 27 giugno 1980. L’esplosivo è il «T4» (Esaidro-1, 3,5-Trinitro, 5-Triazina, come recita la formula chimica; RDX, come lo chiamano più semplicemente gli americani), utilizzato nella fabbricazione di testate per missili aria/aria o di mine. Questa è la conclusione degli esperti del laboratori della nostra Aeronautica, che già nel 1983 avevano terminato gli esami ordinati dalla magistratura su cuscini e bagagli recuperati nel Tirreno, insieme ai resti di alcuni degli 81 passeggeri e membri di equipaggio del volo IH-870 Bologna-Palermo. Sui risultati delle analisi non è mai stato imposto il segreto militare, ma solo il segreto istruttorio. Come per ogni indagine giudiziaria ancora in corso.
Le perizie, commissionate al tecnici dell’Aeronautica militare italiana su indicazione degli specialisti del RARDE (il prestigioso Royal Armament Research and Development Establishment britannico, che ha risolto alcuni tra i più complicati casi nella storia dei disastri aerei, compreso il giallo del Comet) sono state effettuate nel laboratori romani con strumenti non sofisticatissimi ma sufficienti a fornire un risultato certo: la presenza di «T4». Dunque, sufficienti ad escludere definitivamente l’ipotesi del cedimento strutturale che ha portato via all’inchiesta giudiziaria almeno un anno e mezzo di lavoro. Il DC-9 Itavia è andato a pezzi per una esplosione ma il caso rimane aperto: l’ordigno che quella sera di giugno ha «cancellato» la traccia del bireattore dal radar è una bomba oppure un missile aria/aria?
Di fronte a questo bivio è ferma da tempo anche la Commissione d’inchiesta ministeriale, che ha completato solo la prima parte del lavoro con una missione a Washington (nei laboratori del National Transportation Safety Board) e una a Londra, nel quartier generale del RARDE, appunto. Agli atti della Commissione (presidente Carlo Luzzati) e nel fascicolo del magistrato (il giudice istruttore Vittorio Bucarelli) ci sono le copie del documenti firmati dall’ingegner John C. Macidull, capo del gruppo di studio del NTSB che ha decodificato e interpretato i tabulati del radar in servizio nel basso Tirreno quando il DC-9 volava verso Palermo.
Bene, questi documenti parlano chiaro: c’era un altro aereo che incrociava nel punto in cui è avvenuta l’esplosione. Il radar lo ha seguito prima, ma soprattutto dopo che il bireattore Itavia è stato distrutto. John C. Macidull lo ha confermato in una intervista al Corriere della Sera e alla BBC. Successivamente, sempre al Corriere della Sera e in una seconda intervista alla televisione britannica, ha detto la sua anche John Transue, consulente di guerra aerea in servizio al Pentagono: a) quell’altro aereo aveva tutte le caratteristiche di un caccia; b) la manovra di avvicinamento al DC-9 era tipica in caso di attacco; c) la distanza minima (5 miglia, dice il radar) era adeguata per lanciare un missile aria/aria; d) la manovra d’attacco sembrava «deliberata», cioè quel missile non era partito accidentalmente per un errore del pilota.
Le dichiarazioni di Macidull e Transue non sono mai state smentite dalla magistratura (prima della formalizzazione dell’inchiesta l’indagine era nelle mani del sostituto procuratore Giorgio Santacroce), dalla Commissione d’inchiesta o dal ministero della Difesa. Le uniche precisazioni hanno sempre riguardato la possibilità che aerei italiani o NATO si trovassero nello spazio di cielo sotto accusa. In questo, le smentite sono state categoriche. Allora, chi ha distrutto il DC-9 Itavia?
Aver trovato tracce di «T4» sui reperti del jet è un risultato apprezzabile ma non conclusivo. Il «T4» viene sempre utilizzato in percentuale superiore al 90 nella fabbricazione di ordigni militari, siano missili o mine. Ed è dunque facile rilevarne la presenza mentre diventa quasi impossibile scoprire quali altri elementi compongono la miscela. La paraffina, ad esemplo, si volatilizza. Il polistirolo (altro composto usato), si trova in alcune parti dell’aereo. Cosi, provata l’esplosione, resta da dimostrarne l’origine: un attentato preparato a terra con l’innesco a tempo o un attacco deliberato di un caccia non ancora identificato?
La impressionante serie di mancate collisioni, i casi di esercitazioni militari che hanno coinvolto aerei civili hanno dato credito alla pista del caccia pirata. E poi, quelle tracce radar non dimostrano forse che il DC-9 non volava da solo nel cielo di Ustica? Alla pista della bomba credono i tecnici dell’Aeronautica militare, che hanno analizzato i reperti e scoperto il «T4» e tutti i vertici delle Forze armate che non riescono ad immaginare un aereo che buca la nostra difesa, colpisce l’obiettivo e scompare indisturbato. La fantapolitica ha aggiunto ingredienti a questo mistero irrisolto; si parla del vertice NATO terminato la sera prima dell’incidente ad Ankara, dei ministri alleati in volo con altri DC-9 sul Mediterraneo, del segretario di Stato di Carter (Muskie), che poteva forse essere la vittima designata da una potenza straniera non meglio identificata. Di certo, il DC-9 Itavia arrivò su Ustica con due ore di ritardo e i plani di sorvolo di altri aerei sono ormai andati distrutti. Dunque, nessuno può veramente dimostrare che il presunto killer aveva un «appuntamento» diverso e per errore ha centrato un aereo civile con 81 persone a bordo.
Restano le polemiche, insieme agli interrogativi. La polemica sul segreto (istruttorio e non militare): tra l’avvocato dell’Itavia, Osvaldo Fassari, che si è visto negare copia degli atti dell’inchiesta e il giudice Bucarelll. La polemica tra i familiari delle vittime e le autorità: dopo un appello a Pertini, si attende ancora il risarcimento per molti parenti. La polemica tra i piloti civili e il Governo che non procede con rapidità a costituire un Ente per la sicurezza del volo: «Quello che ci preme chiarire sin da adesso è che non abbiamo paura di nessuna verità», dice il presidente dell’Anpac, Antonio Ferraro. La polemica a livello politico: «La questione non può concludersi cosi. È in gioco la sicurezza del volo», affermano i radicali che sono pronti a combattere in Parlamento contro la possibilità del ricorso al segreto militare; e l’eurodeputato socialista Ripa di Meana, che ha già svelato molti retroscena sulla sicurezza del volo con una indagine appena divulgata, si rivolge addirittura a Craxi, perché renda pubblici i risultati dell’inchiesta. «I parenti delle vittime, il Parlamento europeo e l’opinione pubblica esigono la verità qualunque essa sia; si tratti di un missile libico, francese, americano o di una bomba terroristica. O si tratta, invece, di un missile italiano?», chiede Ripa di Meana. C’è di che discutere, ma sono già trascorsi 4 anni.

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