Fra pochi giorni le operazioni per riavere in superficie i resti dell’aereo Itavia

Serve recuperare il DC-9?

Il jet fu abbattuto ma si cerca a Ustica la conferma

I risultati di un’inchiesta della Procura romana – Due Mig libici centrarono in pieno il «bersaglio» – La verità spesso negata da settori compiacenti dei servizi segreti

ROMA — Comincerà a fine mese l’operazione di recupero del rottami del DC-9 Itavia. Dunque si chiude con una improbabile manche di tarda primavera il grande slalom che per sette anni ha Impegnato magistratura, servizi segreti, governi e Parlamento. Improbabile e forse inutile, perché il mare di Ustica potrà restituire qualche rottame arrugginito e certo non il nome di chi ha fatto esplodere il bireattore con 81 persone a bordo.
Con i sette miliardi di prefinanziamento messi a disposizione dell’Ifremer (la società francese cui è stato affidato l’incarico) è persino possibile che non si riesca a rispondere al quesito: fu bomba o missile?
Circola in queste ore la voce di una inchiesta parallela che Rosario Priore, giudice istruttore della Procura romana, avrebbe quasi ultimato. Secondo le indiscrezioni, ad abbattere il DC-9 Itavia sarebbero stati due caccia dell’aviazione da guerra di Gheddafi nel corso di un duello aereo con un disertore in fuga alla cloche del suo Mig 23.
Il disertore sarebbe quell’Ezzedin Koal trovato morto carbonizzato e quasi putrefatto una ventina di giorni dopo il disastro di Ustica. Cosi, dopo smentite e mezze verità, tornerebbe il conto delle vittime e del colpevole. Il colpevole, o mandante involontario, avrebbe il nome di Muammar el Gheddafi.
Se questa Ipotesi trovasse conferma, comunque non cambierebbe il problema. Che è più politico e sempre meno giudiziario. Tutti sanno e ricordano quanto ambigua e fragile sia la posizione della nostra Aeronautica militare: minuti di registrazione radar cancellati con la giustificazione di una esercitazione nella notte del 27 giugno 1980; l’evidenza di una traccia accanto a quella del DC-9 Itavia, «fotografata» dal radar civile (l’unico rimasto ad inchiodare alle proprie responsabilità chi doveva garantire la sicurezza del nostro spazio aereo) e negata fino a mettere in discussione
la stessa credibilità professionale di tecnici ed esperti italiani e americani.
Tutti sanno e ricordano che, mentre l’Aeronautica militare cercava di accreditare la tesi della bomba, i suoi stessi esperti ammettevano davanti al giudice di aver trovato tracce di T4: esplosivo con cui si confezionano testate di guerra per missili aria/aria. E addirittura il Pentagono faceva scendere in campo il proprio consulente di guerra aerea (John Transue) a spiegare come il DC-9 fosse stato attaccato e colpito in volo da un caccia sconosciuto.
Per la Sesta Flotta, sotto accusa per continue violazioni del nostro spazio aereo e gravi mancate collisioni con velivoli civili, non si trattava certo di una operazione di beneficenza. Ma di chiarire la natura dell’incidente (su cui indagò con successo anche la Douglas, casa costruttrice del bireattore) e prendere le distanze da una campagna che pericolosamente rischiava di coinvolgere le portaerei di base a Napoli.
I nostri servizi segreti (allora alle dipendenze di Giuseppe Santovito, generale P2 amico di Pazienza) negarono sempre la tesi del missile fino ad insinuare che il DC-9 poteva essersi spaccato in volo per una «forte corrente d’aria».
Solo da qualche mese (e l’Inchiesta del giudice Priore lo confermerebbe) sarebbe stato possibile ricostruire la dinamica dell’incidente con la collaborazione dell’Intelligence, finalmente decisa o invitata ad aprire quei «cassetti» chiusi cui più volte ha fatto riferimento l’ex sotto-segretario alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato.
Ecco allora la pista libica e il collegamento tra il Mig 23 in fuga e i caccia di Gheddafi a rincorrerlo, con il DC-9 Itavia a fare da bersaglio involontario nel duello che pure i radar militari italiani devono aver «visto» e «registrato».
Il problema era e resta politico. Non ci sono solo da addebitare i sette miliardi del recupero. Non c’è solo da pretendere spiegazioni (se basta) dai vertici militari che potrebbero risultare invischiati nel gioco delle coperture.
C’è soprattutto da risolvere un comportamento del nostro governo sul piano internazionale, se e dove fosse confermata la responsabilità di un altro Paese per la morte delle 81 persone che si trovavano a bordo del DC-9 Itavia.
Il grande slalom intorno al «giallo di Ustica» si consuma in queste ore.
Forse prima della fine dell’estate sapremo dove inserire la tragedia di quella notte, se nella lista delle «stragi di Stato» o in quella del terrorismo internazionale. O addirittura in una lista tutta nuova, quella che consente ad una aviazione da guerra di un altro Paese di far rotta sul cielo italiano per duellare a colpi di missile In mezzo agli aerei civili.

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