Nuove perizie inglesi rafforzano l’ipotesi che un missile abbia colpito l’aereo
Ormai è certo: fu un’esplosione a uccidere gli 81 passeggeri del «DC-9» caduto a Ustica
ROMA – È stata un’esplosione a disintegrare il McDonnell Douglas DC-9 della compagnia Itavia: la deflagrazione si è verificata esattamente alle 18.59 minuti primi e 45 minuti secondi del 27 giugno 1980, nel cielo di Ustica.
Il bireattore si è frantumato come un vaso di cristallo colpito da un proiettile, le 81 persone che si trovavano a bordo sono rimaste uccise in pochi centesimi di secondo. Ufficialmente non è ancora possibile affermare la natura dell’esplosione (bomba o missile, attentato o incidente), ma gli ultimi esami di laboratorio hanno permesso di fare una scoperta: i frammenti di metallo conficcati negli oggetti recuperati in mare (tra cui 20 cuscini) sono stati «sparati» ad una velocità doppia o tripla di quella che poteva essere impressa da una qualunque delle sostanze esplosive conosciute.
Dunque l’accelerazione maggiore è stata provocata da un missile? I tecnici inglesi dell’Accident Investigation Branch (Aib) e del Royal Armament Research and Development Establishment (Rar-de) hanno messo a confronto i dati a disposizione delle tre commissioni che in Italia indagano sul «giallo» di Ustica, con quelli archiviati in occasione di un’indagine su un incidente aereo dovuto a sabotaggio, verificatosi a Rodi il 12 ottobre 1967: un Comet disintegrato con 59 persone a bordo. Il caso più simile a quello ancóra in esame.
Bene, il risultato è stato proprio la verifica di differenti accelerazioni: uno a tre. E non ci sono esplosivi in grado di far viaggiare queste minuscole particelle a oltre mille chilometri l’ora. Procedendo per eliminazione, vediamo ora quali ipotesi restano in piedi per spiegare la disintegrazione del bireattore: il cedimento strutturale del DC-9 era stato escluso già da due mesi, dopo attente verifiche delle ispezioni e certificazioni del Registro aeronautico italiano (Rai); la collisione in volo con un altro apparecchio sconosciuto è stata accantonata dagli specialisti di Londra e Famborough e messa in discussione un anno fa a Washington dagli esperti del National Transportation Safety Board (NTSB); la possibilità di una bomba a bordo è ufficiosamente, ma non del tutto scartata dagli inglesi.
Resta l’interrogativo di un missile o un razzo che abbia colpito per errore il DC-9. Oltre a ripetere gli esami di laboratorio non c’è dunque che una strada da seguire per accertare definitivamente la verità: recuperare i rottami dell’aereo che si trovano a una profondità oscillante tra i 3.200 e i 3.600 metri, su terreno a sedimenti fangosi compatti, in un’area di 30 miglia di lato: un quadrato di 900 miglia. Il costo dell’operazione sarebbe di circa 15 miliardi ma le ditte specializzate del settore non garantiscono che un 75 per cento di riuscita dell’impresa.
Il dottor Giorgio Santacroce, il magistrato romano che conduce da 17 mesi un’inchiesta difficile e inquietante, ha deciso ieri di chiedere ufficialmente al ministro dei Trasporti Balzamo di recuperare quanto è ancora possibile del DC-9. Gli elementi che hanno convinto il magistrato a scrivere al ministro sono emersi proprio nel recente viaggio a Londra e Famborough, effettuato insieme al presidente della commissione tecnico-formale Luzzati, a un esperto della stessa commissione, il signor Peresempio, e al maggiore dell’aeronautica Oddone, che lavora nei laboratori militari di via Tuscolana.
Contemporaneamente sono al lavoro un collegio peritale, nominato dallo stesso magistrato e un gruppo di specialisti misto, composto da esperti civili e militari. Non è escluso che per i prossimi esami di laboratorio (frattografici, metallografici, chimici, eccetera) Santacroce ricorra anche a periti stranieri. Il magistrato ha inoltre acquisito agli atti il rapporto completo sulla mancata collisione in volo tra un DC-9 dell’Ati e un missile o proiettile d’artiglieria, avvenuto a settembre proprio nel cielo di Ustica e denunciato dal comandante del bireattore, in servizio postale tra Palermo e Roma.
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