La distruzione del DC-9 ad Ustica non dipese da difetti dell’aereo

ROMA – Il DC-9 dell’Itavia, distrutto nel cielo di Ustica la sera del 27 giugno 1980, era in perfette condizioni di manutenzione, le ispezioni ordinate dal Registro aeronautico italiano erano state eseguite scrupolosamente e dunque il bireattore si disintegrò per motivi diversi ed estranei alla struttura dell’apparecchio. Questo sarà l’unico dato certo della relazione elaborata dalla commissione di inchiesta ministeriale sull’incidente, che provocò la morte di 81 persone. Il rapporto verrà consegnato al ministro dei Trasporti prima della fine di ottobre.
«L’esclusione dell’ipotesi del cedimento strutturale – ha anticipato il presidente della commissione, dottor Luzzati – lascia aperto il campo ad altre quattro possibilità: missile, collisione con aereo militare, bomba, esplosione di materiale».
Comunque gli ultimi esami di laboratorio (effettuati dall’aeronautica militare italiana) le rilevazioni radar, i risultati delle autopsie, la valutazione complessiva dei reperti recuperati in mare, non fanno che confermare dubbi e sospetti inquietanti.
«Se c’era un volo tranquillo, condotto in modo regolare – ha detto il dottor Luzzati – era proprio quello del DC-9 Itavia, in rotta da Bologna a Palermo. L’equipaggio era molto valido, il comandante Gatti una persona preparatissima e seria. Purtroppo le comunicazioni tra la cabina di pilotaggio e il centro di Controllo non ci hanno fornito elementi utili ad accreditare una delle ipotesi rimaste in piedi. Tutto quello che si può dire è che la causa dell’incidente è estranea all’aereo stesso. E una tale convinzione ci permette inoltre di affermare che gli apparecchi identici a quello esploso non hanno difetti strutturali».

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