Oggi i periti consegnano la relazione finale: il «Corriere della Sera» è in grado di anticipare i contenuti

Il DC-9 fu abbattuto da un caccia, ecco le prove

Evidenziate omissioni e distruzioni di documenti dal giorno della strage (27 giugno 1980; le vittime furono ottantuno) a oggi – Una simulazione in volo conferma che nella zona c’erano aerei militari – Dall’Inghilterra: «Lo squarcio non fu provocato da una bomba»

ROMA — Nelle settecento pagine della relazione finale dei periti Blasi, Lecce, Migliaccio, Cerra, Imbimbo e Romano sulla strage di Ustica ci sono molte prove che spiegano perché, la sera del 27 giugno 1980, il DC-9 Itavia fu abbattuto da un missile e perché almeno un caccia militare non ancora identificato incrociò l’aereo passeggeri in volo da Bologna a Palermo. Sono le prove accumulate in cinque anni di analisi, simulazioni, esperimenti effettuati in Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Vediamo di cosa si tratta.
LE TRACCE RADAR — Registrazioni parziali, contraddittorie, in parte su nastro e in parte riportate su libroni che verranno inspiegabilmente distrutti nel corso dei nove anni dell’inchiesta. Questo è il capitolo delle più evidenti, clamorose smagliature nel rapporto tra ricerca della verità e «trasparenza» delle fonti militari. Su questo capitolo dovrà adesso esprimersi il giudice istruttore Vittorio Bucarelli. Quattro i radar all’esame dei periti: i due del centro di controllo di Ciampino (Selenia e Marconi) e quelli di Marsala e Licola (Difesa aerea territoriale). Ecco cosa dicono, ma soprattutto non dicono, sull’abbattimento del DC-9 Itavia.
CIAMPINO — I periti accettano le relazioni DCA-80-RA-028 e 029 del National Transportation Safety Board, l’Ente federale per la sicurezza del volo negli Stati Uniti. Si tratta degli studi delle registrazioni dei radar Selenia e Marconi di Ciampino, elaborate dal gruppo di lavoro guidato da John C. Macidull nel novembre 1980. Sulla base di queste registrazioni, Macidull individuò uno o più oggetti volanti non identificati in un’area di circa 20 miglia intorno al luogo dell’incidente. E in particolare, rilevò «tre riflessioni» (cioè tre tracce radar) che anche il collegio dei periti italiano valuta omogenee ed assimilabili ad un altro aereo non identificato.
Per evitare ogni contestazione (soprattutto da parte degli ambienti militari, che negano la validità di questi rilevamenti), i periti sono stati costretti ad effettuare una complessa elaborazione matematica da cui risulta che la possibilità di un errore di funzionamento del radar di Ciampino è talmente remota da non dover nemmeno essere presa in considerazione. Dunque, le «tre riflessioni» indicano che il DC-9 non era solo nel cielo di Ustica. Al momento dell’abbattimento (le 20.59 minuti e 45 secondi), questo caccia si trovava ad una distanza di 5,7 miglia dall’aereo dell’Itavia. Dodici secondi più tardi è stato nuovamente inquadrato dal radar ed è poi scomparso.
MARSALA — Il radar della Difesa aerea territoriale presenta un «buco» di registrazione di otto minuti circa, a partire da quattro minuti dopo l’abbattimento del DC-9 Itavia. Le tracce individuate nell’arco di tre ore a cavallo dell’incidente sono una quarantina e ad ognuna di queste è abbinato un codice (civile, militare, di Stato). Spetterà adesso al magistrato procedere all’identificazione. Il nastro di Marsala, su cui non è affatto da escludere un supplemento di perizia per accertarne l’eventuale manipolazione, non mostra le tre tracce individuate accanto al DC-9 dai radar Selenia e Marconi.
La sera del 27 giugno 1980, il centro radar di Marsala era ufficialmente in esercitazione. Sono spariti gli elenchi originali e le copie con i nomi dei militari in servizio. L’Aeronautica ne ha fornito una ricostruzione che varia da cinque a quindici unità, nell’arco dei nove anni dell’inchiesta condotta tra Palermo, Roma e Marsala. Gli operatori interrogati hanno comunque affermato di non aver visto nulla. Ed hanno giustificato il «buco» con una interruzione per il cambio di nastro dovuta all’allarme per l’incidente aereo. Quanto alle tracce non rilevate, l’Aeronautica spiega tutto con la ridotta portata del radar e con ostacoli naturali.
LICOLA — È a una novantina di miglia dal punto dell’abbattimento del DC-9 (ed ha una portata almeno doppia). Non ci sono ostacoli naturali. Su richiesta della magistratura di Palermo, l’11 luglio 1980 venne effettuata una estrapolazione delle tracce radar rilevate e annotate sul cosiddetto libro del «plotting», che è poi il libro mastro su cui si registrano gli avvistamenti con il sistema fonetico/manuale. Dunque, nessun nastro. Si tratta di venticinque tracce individuate nelle tre ore a cavallo dell’incidente. Tra queste non figura quella del DC-9. E solo cinque sono in comune con quelle rilevate da Marsala.
L’8 agosto 1988, il giudice Bucarelli invia a Licola due carabinieri del nucleo di Polizia giudiziaria di Roma per ottenere nuovi elementi. La risposta è che il libro mastro è stato distrutto in data 13 settembre 1984. Non si sa perché (in presenza di un’inchiesta della magistratura) e su ordine di chi. Dunque, che il giudice e i periti si accontentino e prendano per buone le «estrapolazioni» dell’Aeronautica militare. Ma la sorpresa è ancora un’altra. Agli atti risultano tre interrogatori. Il primo è quello dell’allora comandante del centro, maggiore Carchio. Il secondo, del maresciallo Lucio Albini. Il terzo del maresciallo Gennaro Sarnataro.
Carchio afferma di aver consegnato tutto. Albini dice di aver seguito la traccia del DC-9 fino al momento in cui è scomparsa. Sarnataro dichiara che gli venne detto di assistere e guidare sul luogo dell’incidente gli elicotteri del soccorso aereo. Affermazioni in grave contrasto con la realtà dei documenti consegnati. Infatti, se Albini ha seguito il DC-9, perché la traccia non risulta tra quelle «estrapolate»? E se invece nessuno ha visto il DC-9 e Albini mente, come avrebbe fatto Sarnataro ad assistere gli elicotteri sul luogo dell’incidente?
LA SIMULAZIONE IN VOLO — Nel 1986, il giudice Bucarelli decide di mettere alla prova gli studi compiuti da John C. Macidull e di effettuare una simulazione in volo con un DC-9 dell’Aeronautica che, alla stessa ora e nello stesso punto in cui l’aereo Itavia è stato abbattuto, dovrà essere intercettato da due caccia di dimensioni diverse: un Macchi e un F104. L’obiettivo è di verificare come mai nella relazione degli americani ci sono solo tre tracce di un oggetto volante non identificato e se è possibile che i due radar Selenia e Marconi non abbiano individuato l’intruso prima e dopo l’abbattimento.
Quando viene effettuata la simulazione, a bordo del DC-9 si trovano magistrato e periti. Nel punto Condor, all’incrocio tra l’aerovia Ambra 13 Alfa e la Delta Whisky 12, dove il DC-9 Itavia è stato abbattuto, avviene l’intercettazione. Poi, i due caccia dell’Aeronautica militare ricevono via radio l’ordine di rientrare. Risultato: un tracciato identico a quello elaborato da Macidull. La manovra di uscita o scampo dei caccia sfugge ai radar Selenia e Marconi, così come sfuggì l’intruso che incrociò il DC-9 Itavia la sera del 27 giugno 1980. Tranne che per quelle tre «battute» radar su cui non sono più possibili contestazioni.
LA LEGA DI ALLUMINIO — All’interno del DC-9 Itavia e in corrispondenza dei fori delle schegge su un portellone cargo e una paratia della cabina di pilotaggio, i periti scoprono tracce di metallo. Dall’analisi, questo risulta essere una particolarissima lega di alluminio (la numero 2024). Alla Douglas, la casa costruttrice del DC-9, viene chiesto in quali zone della struttura dell’aereo si trovi la lega in esame. Risposta: solo su alcune parti e comunque sul rivestimento esterno, la «pelle» del DC9. Un frammento della lega 2024 è stato ad esempio trovato conficcato ortogonalmente e per trenta centimetri di profondità in un sedile: all’interno dell’aereo.
LE PROVE ACUSTICHE — Colpi a salve, esplosi nel bagagliaio, nella cabina passeggeri, nella cabina di pilotaggio e all’esterno di un DC-9 con i motori al 50 per cento della potenza: questa la simulazione effettuata dai periti con la collaborazione dell’istituto Bordoni. Obiettivo: elaborare grafici da comparare a quello che risulta dall’ultima tranche di registrazione del Voice Recorder (il registratore delle voci in cabina di pilotaggio) del DC-9 Itavia: un forte boato, appunto. Al termine delle prove, un solo grafico coincide con la drammatica testimonianza del Voice Recorder: quello dei colpi esplosi all’esterno dell’aereo.
FORI E SCHEGGE — Un portello del vano bagagli anteriore destro, una paratia e altri frammenti del DC-9 Itavia che presentano vistosi buchi con le lamiere accartocciate verso l’interno vengono inviati nei laboratori del Rarde, il centro militare britannico di analisi sugli esplosivi. Lo stesso che a tempo di record ha individuato in una bomba la causa del disastro del dicembre 1988 a Lockerbie (il Jumbo Pan Am). Dopo mesi di lavoro, responsi contraddittori provengono dagli esperti di Sua Maestà: la velocità di perforazione delle schegge viene fissata prima in 300 metri circa al secondo (un missile) ma successivamente è abbassata.
I periti chiedono allora di effettuare delle prove, «sparando» alcuni dadi di ferro contro parti del DC-9 per comparare i fori prodotti nella simulazione con quelli reali. Risultato: nella relazione consegnata al giudice, le analisi del Rarde finiscono tra gli allegati, mentre per i fori esaminati sui frammenti del DC-9 Itavia i periti si spingono a parlare di una velocità di penetrazione delle schegge intorno ai 400 metri al secondo. Cioè qualcosa come 1.400 chilometri l’ora. Una velocità e una forza d’impatto che nessuna bomba è in grado di imprimere. Ma che solo la testata esplosiva di un missile può produrre.

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