Buio totale per tredici minuti

Dal nastro radar sarebbe sparito l’intero abbattimento del DC-9

Il nuovo blackout (fino a ieri si parlava di 8 minuti) andrebbe da 53 secondi prima dell’incidente a 4 minuti dopo – Oggi la questione arriva in Consiglio dei ministri – Forse sarà costituita una Commissione d’inchiesta

ROMA – Costretti all’angolo da un bombardamento di interrogativi, indignati ma testardi nel rispetto della consegna del silenzio, i generali hanno incassato una nuova dose di elementi che proverebbero la strage per errore nel cielo di Ustica. Ieri sera, TG1 Sette ha riproposto l’ipotesi del radiobersaglio sfuggito al controllo, del caccia Nato (e quasi certamente italiano) che lanciò il missile, della maldestra operazione per occultare le prove di una colpevolezza che i militari negano col furore delle parole del capo di Stato Maggiore della Difesa, l’ammiraglio Mario Porta.
Oggi la questione va in Consiglio dei ministri. De Mita costituirà una Commissione d’inchiesta governativa? È una possibilità che non viene esclusa negli ambienti di Palazzo Chigi. Anche per mettere un freno alla polemica politica che monta. Ieri la «Voce Repubblicana» ha nuovamente espresso completa Fiducia nelle dichiarazioni d’innocenza del generale Franco Pisano (capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica). I socialisti (e per tutti ha parlato Craxi) insistono che l’obiettivo principale resta quello della verità e della giustizia.
Il TG 1 ripropone la tesi di una settimana fa. A colpire il DC-9 Itavia fu un missile lanciato, con ogni probabilità, per abbattere un radiobersaglio (Drone), durante una esercitazione. Alla fine degli anni Settanta, l’Aeronautica militare italiana ricevette undici radiobersagli costruiti dalla Beechcraft di Wichita (Kansas): modello 1088, sigla AQM 37 A. Si tratta di cilindri della lunghezza di circa otto metri, lanciati da un aereo-madre, che superano fino a tre volte la velocità del suono. Volano a media altitudine, possono manovrare lateralmente e possiedono un sistema di inabissamento programmato.
Sembra confermato che qualcuno cercò di cancellare la coccarda tricolore da una delle due alette del radiobersaglio ripescato a Bàia Domizia. I periti nominati dal giudice istruttore avrebbero accertato la manomissione, attribuendo all’Aeronautica militare la paternità del frammento. È invece sparita la seconda aletta, ripescata il 18 agosto del 1980 presso Lipari. Il frammento, consegnato ad un colonnello del 41 Stormo dell’Aeronautica militare italiana non c’è più. Resta una foto. Ed è già qualcosa. Perché se queste prime indiscrezioni dei periti verranno confermate, risulterà più difficile sostenere che le nostre Forze armate sono estranee alla strage.
Ma la novità sconcertante riguarda ancora una volta Marsala. Il grande pasticcio del centro della Difesa aerea territoriale, su cui l’Aeronautica è pronta a garantire trasparenza, si fa grave. Sparito l’ordine di servizio dell’esercitazione, sparito il «librone del plotting» (dove si riportano manualmente la tracce rilevate) e buco nella registrazione radar che, dagli otto minuti di cui si è parlato fino ad oggi, diventerebbe di ben 13 minuti. Le indiscrezioni e poi la relazione ufficiale della Commissione d’inchiesta tecnico-formale Luzzati, confermarono che a Marsala non si registrò nulla tra le 21,04 e le 21,12 del 27 giugno 1980.
Adesso si scopre (e una parola definitiva dell’ammiraglio Porta è il meno che ci si possa attendere) che invece il nastro del centro Dat di Marsala presenta un buco a partire da 53 secondi prima dell’incidente e per i successivi 4 minuti. Che sommati agli altri 8, risulta appunto di ben 13 minuti di buio totale su cui diventa lecita ogni ombra di sospetto, reticenza, copertura, depistaggio. Se l’indiscrezione trovasse conferma, vorrebbe dire che tutta la fase dell’abbattimento del DC-9 è sparita. E ancora più imbarazzante risulterebbe la dichiarazione d’innocenza dell’Aeronautica militare.
Anche ieri abbiamo cercato di avere dalla Sesta Flotta una conferma sulla consegna al giudice istruttore di una seconda registrazione radar (quella della portaerei della US Navy in rada a Napoli la sera dell’abbattimento del DC-9). La telefonata dal portavoce del comando della Sesta Flotta non è arrivata. È arrivata invece la smentita indignata dell’ambasciatore libico che contesta l’ipotesi del Mig 23 come responsabile della strage. «Chi scrive cose come quelle che accusano la Libia vuole ingannare il popolo italiano, dato che, a quanto pare, ci sono tutti gli elementi concreti per giungere alla verità», afferma Abdulrahman Shalgam.
E l’avvocato Romeo Ferrucci, uno dei legali di parte civile delle vittime del DC-9 Itavia, ritorna nella polemica sulle mezze verità con una dura dichiarazione: «Le polemiche sulla sciagura di Ustica devono far crescere una spinta poderosa alla ricerca della verità, ricerca alla quale a questo punto nessuna istituzione può venire meno senza sottrarsi a un preciso dovere di rispetto della democrazia». La battaglia è aperta, su tutti i fronti.
E c’è chi non esclude da parte militare un ricorso alla magistratura contro la versione proposta dal TG 1.

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