I tecnici sono a buon punto nell’inchiesta sulla tragedia di Ustica

Il DC-9 forse cadde dopo una collisione o addirittura fu colpito da un missile

Ufficialmente non è possibile ancora escludere che sul volo Itavia Bologna-Palermo ci fosse una bomba, né che il velivolo si sia disintegrato per cedimento delle strutture – Ma la presenza di due tracce «sospette» sui radar dà credito alla prima possibilità

ROMA – È vero, c’è stata una «decompressione esplosiva» che ha distrutto il bireattore Itavia. Ma questa «esplosione» sarebbe stata tanto rapida da far escludere, secondo l’esperienza e la logica d’indagine sul precedenti disastri aerei, un cedimento delle strutture del DC-9. E non è tutto. Le tre tracce che il radar ha rilevato nel momento in cui si è verificata la decompressione, non sarebbero altrettante parti del velivolo spaccate e poi precipitate in mare, ma almeno due potrebbero indicare la presenza accanto al DC-9 di aerei diversi, se non addirittura di razzi.
Sono stati recuperati 42 corpi, cioè più della metà. Sette autopsie, nove esami otoscopici e dodici radiografie avrebbero permesso ai periti di stabilire che la «decompressione esplosiva», cioè l’annullamento della differenza tra la pressione interna ed esterna, è avvenuta In un tempo incredibilmente rapido, pari a non più di cinquanta centesimi di secondo, con effetti disastrosi. Le salme sono state trovate in condizioni terribili, «con amputazione di arti, detroncamenti e maciullamene», possibili solo se provocati da un fatto improvviso, potente e altamente traumatico.
Questo tempo massimo di mezzo secondo avrebbe permesso ai tecnici e ai periti di scartare l’ipotesi di un «cedimento strutturale»: causa si di incidenti aerei, ma in tempi graduali anche se rapidi. Nel caso dei Comet, distrutti da «fatica del metallo», la «decompressione esplosiva» sarebbe avvenuta comunque per gradi, in alcuni secondi. Un cedimento provocato da lesioni alla cabina dell’aereo, si verificherebbe invece sempre in margini di tempo accettabili, tali da consentire se non un messaggio radio almeno un tentativo disperato per salvarsi. Questa è la casistica mondiale (c’è negli Stati Uniti un corso universitario proprio sugli incidenti aerei e le tecniche d’indagine che verrebbe sconvolta nella vicenda del bireattore Itavia, mettendo in crisi non solo compagnie e organi di controllo, ma soprattutto le case costruttrici.
Il principio del «fail safe», alla base di ogni aeroplano moderno costruito, poggia sul fatto che anche un danno di proporzioni notevoli lascia sempre un periodo di tempo «franco» per consentire una manovra o un estremo rimedio. Il DC-9 dell’Air Canada, che ebbe la coda gravemente lesionata, riuscì a rientrare a terra, nonostante la depressurizzazione e senza «decompressione esplosiva». È poi da ricordare come eventuali lesioni possono causare traumi irreparabili se sollecitate (in decollo o atterraggio) ma difficilmente in quota livellata.
Qualcuno ha parlato di possibile turbolenza nella zona, ma questa possibilità è stata smentita dagli accertamenti e dalle relazioni di comandanti che hanno attraversato quello spazio di cielo prima e dopo il DC-9 Itavia. E gli stessi bollettini meteorologici non presentavano caratteristiche particolarmente significative. Né dalle comunicazioni terra-bordo-terra è emersa una situazione di pericolo o di emergenza: il comandante parlava con tono quasi scherzoso.
Quanto è accaduto, in mezzo secondo, è dunque qualcosa di catastrofico e istantaneo. Cosa dicono le rilevazioni radar? Ci sono tracce coerenti e spurie, cioè dati certi (riferibili al DC-9) e dati sconosciuti (non assimilabili all’aereo Itavia). In particolare, le tracce interessanti sarebbero due, quelle a destra e a sinistra del bireattore. rilevate dal radar anche prima e dopo l’esplosione. Se fossero pezzi del DC-9. la loro distanza sul grafico farebbe pensare che sono stati «sparati» a migliaia di chilometri l’ora: cosa improbabile, se non impossibile. Potrebbero Invece essere due razzi o due aerei, con una velocità compresa tra gli ottocento e i novecentocinquanta chilometri orali.
La presenza di queste tracce sul radar è stata tanto clamorosa da richiedere, nei prossimi mesi, un controllo incrociato con apparecchiature americane e il parere di organi come la Federal Aviation Administration (FAA), il National Transport Safety Board (NTSB) e la stessa Douglas. Cioè organi governativi statunitensi e casa costruttrice del DC-9. Inoltre sono stati chiesti i grafici delle rilevazioni radar alla Nato (ancora non consegnati alla commissione e al magistrato) e quelli di tutte le forze (Marina, Aeronautica) in grado di dare risposte più esaurienti.
Ufficialmente, le ipotesi rimangono tre: collisione con aerei o missili; bomba a bordo; cedimento strutturale. Ma i giorni passano e quello che si riesce ad accertare sposta il campo d’indagine sempre più sulla prima possibilità. Certo un sistema per scoprire la verità sul disastro di Ustica, in tempi ragionevoli, ci sarebbe: recuperare il relitto o almeno fotografarlo. E quest’ultima impresa non è poi cosi impossibile. Si tratta solo di volerlo.

L’articolo originale

Guarda la versione orinale uscita sul Corriere della Sera (clicca l’immagine).

Ascolta l’articolo

Ascolta il testo integrale