Se fosse caduto da 7000 metri avrebbe impiegato quaranta secondi per toccare l’acqua

ROMA — L’aereo è esploso in volo o si è disintegrato nell’impatto con l’acqua? E se è esploso, la causa va ricercata nella presenza di un ordigno a bordo oppure in un cedimento delle strutture portanti? Adalberto Pellegrino, comandante di DC-10, presidente dell’Anpac, l’associazione dei piloti civili, dice: «Ogni ipotesi è ancora azzardata. Ma qualcosa ha fatto scomparire improvvisamente la traccia luminosa dal radar. È molto strano, le cause potrebbero essere imprevedibili.
Alle 20.56 di venerdì, il bireattore Itavia è un beep intermittente ai margini dello schermo del centro radio di Roma-Controllo: un puntino luminoso che corrisponde a un aereo con 81 persone. Roma-Controllo è una moderna sala in una palazzina dell’aeroporto di Ciampino. Tutti i velivoli che sono nel cielo tra l’Emilia Romagna e la Sicilia fanno capo a questi tecnici del traffico che smistano le rotte, assegnano le quote e danno indicazioni fino a circa 15 chilometri dalle torri del rispettivi aeroporti di partenza o arrivo.
Alle 20.56 di venerdì, il comandante del DC-9 comunica la sua posizione: si trova esattamente nel punto «Condor», 94 miglia a nord di Palermo e 80 miglia a sud di Ponza, al centro dell’aerovia «Ambra 13», un corridoio che porta diritto, in leggera discesa, fino a Palermo. La quota è di 7.500 metri, la velocità di crociera sfiora 1.900 chilometri, la visibilità è circa diecimila metri, il tempo buono a parte un noioso vento da ovest, che soffia con 200 chilometri orari di intensità.
Dopo il contatto radio, il beep scompare e il puntino luminoso viene inghiottito nel buio dello schermo radar. Questo avviene pochi attimi prima a Roma-Controllo, che non copre più con il radar quella zona, ma anche al centro DAT, Difesa Aerea Territoriale, il servizio militare di copertura radar che spazia invece su tutta l’Italia. Dice il comandante Pellegrino: «Le avarie, lo scoppio di un motore, il fuoco a bordo, sono tutte emergenze previste, rispetto alle quali ogni pilota è addestrato e sa come comportarsi. Contemporaneamente al tentativo di rimediare all’avaria, il pilota deve comunicare subito via radio la situazione, fornendo dettagli e chiedendo eventuali misure di soccorso».
Invece il comandante del DC-9 non risponde più. Ed è strano. Perché a 7.500 metri, anche spegnendo ipoteticamente i motori come in una automobile, la velocità raggiunta garantisce almeno sette minuti di volo, prima dell’impatto. In sette minuti, con una situazione disperata a bordo, si ha il tempo di premere il pulsante del microfono per lanciare un SOS. Ma tutto questo non accade. Roma-Controllo, Punta Raisi e un secondo velivolo che segue il DC-9 a cento miglia di distanza tentano di ristabilire il contatto. Nulla. Vediamo che cosa può essere accaduto:
1) Il DC-9 è esploso. Le ipotesi sono due. Una bomba sistemata all’inteno di un bagaglio, si innesca involontariamente o è stata regolata con un congegno a tempo perché scoppi proprio durante il volo. In questo caso l’aereo si spacca in mille pezzi e non c’è proprio tempo per dare l’allarme. Impossibile comunicare via radio anche se l’esplosione è causata dal cedimento di una struttura portante. I «Comet» distrutti da quel fenomeno che si chiama «affaticamento del metallo», subivano effetti simili all’esplosione di un ordigno. La rottura di un timone di coda, di un’ala o della stessa fusoliera provocano la caduta immediata dell’aereo, come un grande ferro da stiro che viene giù da sette chilometri d’altezza e in soli 40 secondi si schianta senza possibilità alcuna di essere governato. Ma in 40 secondi il pilota avrebbe almeno gridato qualcosa per radio.
2) Il DC-9 è entrato in collisione. Questa ipotesi è una delle più remote. Ma il radar civile non poteva registrare la presenza di un altro velivolo su una rotta di collisione perché in quel punto non c’era copertura. Per spazzare via ogni dubbio, sarebbe necessario avere una conferma anche dal centro Difesa Aerea Territoriale, il cui radar copre zone di cielo dove la strumentazione di Roma-Controllo non arriva. Non sarebbe comunque la prima volta che aerei militari, al di fuori della Nato, solcano il cielo a nord di Palermo. Stessa cosa per eventuali ordigni bellici, lanciati da sottomarini stranieri in esercitazione nelle acque del Mediterraneo. Molto improbabile invece l’ipotesi del meteorite; si tratterebbe di un caso su milioni.
3) Il DC-9 è precipitato a causa del vento. Questa ipotesi ha pochi elementi di supporto e il primo dato a sfavore sarebbe rappresentato proprio dalla scomparsa improvvisa della traccia sul radar. Comunque, il vento che soffiava nella zona in cui volava l’aereo, poteva generare turbolenze e provocare il fenomeno di windshire, cioè raffiche intense seguite da assenza totale di vento. In questo caso i piloti avrebbero potuto perdere il controllo.

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