L’aereo di fabbricazione russa non era stato intercettato
Il caccia fantasma è un Mig libico
Forse il pilota fuggiva in Italia
Il «jet» precipitato in Calabria aveva una riserva minima di carburante: in ogni caso avrebbe dovuto atterrare nel nostro Paese – Non aveva apparecchiature fotografiche né armi – Il ministero della Difesa afferma che non è stato abbattuto – Nuovi dubbi sull’efficienza del sistema radar: si riparla del punto Condor, l’incrocio fra corridoio militare e civile dove esplose il DC-9 dell’ltavia
ROMA – Il caccia fantasma è un Mig-23, con le insegne delle Forze aeree libiche, versione esportazione, privo di apparecchiature fotografiche, armamento e serbatoi supplementari. Cosi lo descrive il ministero della Difesa, in un comunicato ufficiale diramato due giorni dopo l’incidente. Non solo, secondo lo Stato Maggiore il caccia viaggiava con una riserva di carburante minima. Tanto che se non fosse precipitato, sarebbe stato costretto ad atterrare in una base Italiana. Possibile? Sono lecite mille ipotesi: defezione e fuga verso l’Italia del pilota, errore nella rotta, guasto improvviso, abbandono di una formazione che comprendeva altri caccia per motivi sconosciuti, eccetera eccetera. Di sicuro, c’è l’affermazione della Difesa che sostiene di non aver abbattuto il velivolo. La responsabilità del disastro è insomma tutta del pilota, della macchina o di entrambi.
Nel 1979, le informazioni in possesso del comando della Sesta flotta americana nel Mediterraneo parlavano di almeno 200 aerei da combattimento sovietici, stanziati in Libia: Mig-23, Mig-25, Mig-27, Su-20 e Tu-22. In quel periodo, il New York Times pubblicò la notizia di almeno cento piloti nordcoreani chiamati dal governo di Tripoli, per addestrare militari locali alla guida dei caccia sovietici. Il 21 novembre 1978, un Mig-25U Foxbat C delle Forze aeree libiche precipitò 120 chilometri al largo di Tripoli e l’equipaggio, due piloti sovietici, venne salvato da un peschereccio siciliano. Nel settembre 1977, la stessa Libia annunciò di aver inviato una squadriglia di Mig-23 in Etiopia, per combattere i guerriglieri eritrei.
Gli esperti sono concordi nel rilevare che i piloti di nazionalità libica, abilitati alla guida del Mig nelle varie versioni, sono
pochi. E che spesso le Forze aeree libiche si servono di personale specializzato sovietico: non solo per l’addestramento, ma anche nel corso di operazioni. È comunque piuttosto improbabile che un Mig Ubico si sposti in missione senza armamento, attrezzatura di supporto come quella fotografica e addirittura poco carburante. Soprattutto quest’ultimo particolare sembra non avere molto senso, se è vero che il pilota sarebbe stato in definitiva costretto ad atterrare in un aeroporto italiano.
A meno che il pilota avesse richiesto il permesso di atterraggio aUa torre di controllo di Crotone o Lamezia e che questo particolare venga ancora coperto dal segreto militare. Ufficialmente, infatti, non risulta che il caccia sia stato intercettato dalla difesa aerea o dai radar civili. E sarebbe non solo strano ma preoccupante. A tal punto che altre ipotesi più inquietanti si potrebbero fare strada. Dove il Mig-23 si è schiantato, confluiscono quattro aerovie militari, una delle quali è la famosa Delta Whisky 12, già messa sotto accusa dopo l’incidente al bireattore Itavia. Quel corridoio, riservato al caccia, si incrocia infatti con la aerovia civile Ambra 13, nel punto Condor, dove il DC-9 Itavia è misteriosamente esploso In volo.
Sulla vicenda del Mig-23, verrà presentata una interrogazione al presidente del Consiglio. L’ha preannunciata il socialista Falco Accame, introducendo i punti chiave della sua domanda: c’erano apparecchiature anti-radar sull’aereo libico? E se c’erano sono quelle vendute proprio dall’Italia a un Paese arabo, nonostante il parere contrario dello Stato maggiore aeronautico? Funziona adeguatamente la copertura aerea che controlla eventuali visite da Est, Sud e Ovest? I nostri strumenti sono In grado di intercettare un caccia con apparati anti-radar in funzione?
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